Sileoni (Fabi): «Lo scudo penale ai bancari è fondamentale per accelerare i prestiti alle imprese, non ai banchieri»
di Fabrizio Massaro
Lo scudo penale è fondamentale per accelerare i prestiti alle imprese. Ma solo per i bancari, sottolinea Lando Sileoni, segretario generale della Fabi, non per i banchieri.
Domanda. Che bilancio traccia dei tre mesi di emergenza?
Risposta. «In questi mesi si è visto un sistema bancario a tre velocità: alcuni istituti hanno dato risposte concrete sui prestiti e sui tempi; altri hanno privilegiato alcuni territori, per interessi specifici; e altri hanno completamente ignorato il decreto. Sarebbe stato utile prevedere la pubblicazione dell’elenco delle banche inadempienti. Si sarebbero allineate tutte. E poi c’è un tema cruciale: quando conviene agli istituti, l’Abi è rappresentativa; quando conviene meno, non lo è più. Noi avremmo preferito subito finanziamenti a fondo perduto. I lavoratori bancari in trincea allo sportello sono stati eroici».
Domanda.
L’Abi ha fatto cose che le banche non condividevano?
Risposta.
«Il decreto liquidità nasce dalle interlocuzioni del governo con l’Abi. E se definisce che bastano 5 documenti che poi però diventano venti, significa che ci sono banche che operano senza convinzione. Altre stanno stressando commercialmente le agenzie per dimostrare che il Covid non incide sulle semestrali».
Domanda. Faccia i nomi, segretario.
Risposta.«I nomi sono noti sia alla politica sia alla Vigilanza. La Commissione d’inchiesta sulle banche ha fatto un buon lavoro tracciando uno spaccato istituto per istituto».
Domanda. Colpa della burocrazia?
Risposta. «Ora le cose sono migliorate, la media è 5-6 giorni per i prestiti fino a 25.000 euro. Ma c’è sempre in ballo lo scudo penale: l’assenza rappresenta un freno all’erogazione».
Domanda. Vuole lo scudo penale per i banchieri?
Risposta. «Noi siamo scontenti dell’assenza dello scudo penale: serve per i direttori di agenzia e per i dirigenti di fascia bassa per evitare l’accusa di concorso in bancarotta fraudolenta e di concessione abusiva del credito. Per noi è fondamentale perché poi si rischia una serie di contenziosi legali verso quei direttori che, in assenza di una manleva, potrebbero avere responsabilità se l’azienda dovesse poi fallire».
Domanda. Nel lockdown si cercavano le banche rimaste aperte.
Risposta. «Gli sportelli, la presenza fisica servono. Solo che alcune banche hanno chiuso le filiali per preparare il terreno ad altre chiusure indiscriminate nei piani industriali di fine anno, che contrasteremo. Lo smart working è stato utile, ma la sua regolamentazione è prevista nel contratto e su base volontaria. A proposito di contratto nazionale, abbiamo avuto l’intuizione di raggiungere l’accordo per il rinnovo prima della pandemia: ora sarebbe stato quasi impossibile chiudere il negoziato a quelle condizioni».
Domanda. Quale dovrebbe essere la banca efficiente?
Risposta. «Una banca con presidio fisico del territorio, dove trovare più consulenza e specializzazione, e alla base una continua formazione sul personale specializzata nei singoli ambiti di attività. Insomma, il rapporto umano resterà fondamentale, con buona pace delle società di consulenza, come Oliver Wyman, che riciclano sistematicamente le stesse previsioni catastrofiche di tagli indiscriminati di personale, solo per farsi pubblicità».
Domanda. Popolare di Bari. Pericolo scampato?
Risposta. «Con l’accordo, abbiamo evitato la messa in liquidazione della banca e tutelato anche la clientela. Evitato i licenziamenti, salvaguardata la volontarietà agli esodi, 650 su 2.700 dipendenti, tutti volontari e su un arco di 10 anni, niente corsie preferenziali. Abbiamo evitato le esternalizzazioni. E poi abbiamo un impegno scritto di Mcc che farà nascere una grande banca del Mezzogiorno, e quindi è probabile che nel tempo a PopBari si aggreghino altre realtà del Sud, mettendo così al sicuro istituti oggi borderline. Certo ci saranno sacrifici: 67 milioni di euro di tagli in quattro anni, non delle retribuzioni, ma un congelamento di alcune voci».
Domanda. Le Bcc sono sempre sotto l’occhio della vigilanza. Ci sono ben 37 mila dipendenti nel settore. Qual è l’urgenza?
Risposta. «Noi siamo i più rappresentativi anche nelle Bcc, le conosciamo bene. C’è un problema di efficienza organizzativa, e che riguarda anche la qualità di alcuni vertici. Gli istituti dovranno dimostrare di avere capacità e competenze per guidare gruppi che in poco tempo stanno cambiando pelle, trasformandosi da coop locali in grandi spa e che la Bce potrà sostituire in qualsiasi momento. Il coinvolgimento del sindacato nel cambiamento sarà decisivo. Il tentativo di escluderlo rappresenterà un boomerang».
(L’intervista a Lando Maria Sileoni, Segretario Generale della Fabi , è stata pubblicata su il corriere economia)